Costruire un saggio solo con clowns ha significato fare un viaggio nel mondo dei clowns (questo è stato il prezioso lavoro di Daniela Gentilini), ma anche accostarsi ad alcuni tratti di quel teatro del Novecento europeo (Pirandello, Brecht, Becket) che ci parla delle maschere del quotidiano a tratti fantocci malinconicamente abbandonati in una sorta di limbo.
Quando si parla di clown viene subito alla mente il “Circo”; nel nostro saggio il “Circo” c’è e non c’è o meglio c’è ma non si vede. Ci sono i clowns, ma è tutto rappresentato al di fuori di un vero e proprio spettacolo circense.
Abbiamo lavorato sulla ricerca del “clown” che è dentro di noi per farlo uscire fuori, sull’elemento mimico gestuale, sulle posture in uno spazio scenico neutro e quindi di grande duttilità avendo sempre come linea guida il gioco.
“Il clown non è completamente spensierato, in lui si legge sempre in controluce un retrogusto di malinconia…… Il clown è un poeta che non scrive le proprie poesie, bensì le rappresenta. È poesia fatta persona. Non descrive una figura, bensì la impersona; il clown è un poeta in azione “.
Il grande regista V.E. Mejerchol’d diceva che i testi vanno interpretati anche ricreandoli con nuovo “fervore” e non “imbalsamandoli nell’ipocrisia del rispetto” . Abbiamo preso alla lettera il pensiero del grande regista ed abbiamo “manomesso” testi di Checov, Andreev, Argia Sbolenfi, Bool, Stephen Sondheim, Lucio Dalla ed altri.