L’Iliade di Omero è un poema di guerra, è fatto dagli uomini e a parlare sono i vincitori ed è in qualche modo il grande prologo delle Troiane di Euripide.
Se Euripide affida alle donne, coralmente, la necessità della lettura della Storia, nella nostra messinscena sono proprio esse a mantenere il tono tragico, in contrapposizione a quello più naturale e sciolto degli uomini.
Le Donne di Troia è un coro di donne piangenti.
Le Donne di Troia sono una lamentazione, l’elaborazione di un lutto. Una tragedia senza azione, un’epopea rovesciata dove tutto è già avvenuto e non resta che un’elegia funebre ed ancestrale.
Il canto di una comunità di persone che non valgono più nulla di fronte alla storia.
Uno spettacolo che sfida il dolore, sofferenza e tormento.
Pur non volendone cercare <una forzata attualità> è inevitabile che essa si imponga. Perché di dolori di madri e di figli, di barbarie contemporanee e di lacerazioni di più popoli, parla questo spettacolo.
E’ il tentativo di dare voce ai dolori più grandi, alla violenza più insensata, allo stupro, alla strage, ai palazzi che saltano in aria, alle torture, alle esecuzioni sommarie che purtroppo sono la voce di questi nostri tempi malati.
La femminilità è l’elemento dominante dello spettacolo: emergono in primo piano le figure di Andromaca, Ecuba, Cassandra che, pur costrette a sottomettersi a un destino crudele, non rinunciano tuttavia alla loro fierezza, non piegano il capo di fronte alla crudeltà dei greci e denunciano con parole frementi di sdegno gli orrori della guerra fra gli uomini. |