Gino, nipote dissennato, vive da anni a Bologna alle spalle dello zio Felice che abita in un paesino dell’alto Appennino Romagnolo. Felice credendo di aiutare il nipote negli studi di medicina a Bologna foraggia, inconsapevole, ogni suo vizio. Per spillargli ancora più soldi Gino gli fa credere di essersi finalmente laureato in medicina e di aver aperto a Faenza una casa di cura per malati di mente. Ma all'improvviso, inaspettatamente, lo zio arriva con la moglie per visitare la sua casa di cura. Gino, non sapendo che pesci prendere, inventa e fa credere agli zii che il manicomio è l’albergo in cui vive e che i clienti sono i matti lì ricoverati. Porta lo zio a visitare la sua casa di cura e lo abbandona. Così lo zio Felice, credendo di essere veramente tra pazzi poco manca che non impazzisca dalla paura. L’imbrogliata matassa, si dipana nel terzo atto e la commedia termina, con un immancabile lieto fine.
Quando la Berton ha affrontato “Miseria e nobiltà”, dello stesso autore, pochi sono stati gli aggiustamenti. In questa commedia, invece, molte sono le scene rivisitate, diversi i personaggi eiminati, diversi quelli nuovi inseriti per cercare di dare più profondità alla commedia che si presenta comunque con le caratteritiche della farsa all’italiana. |